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l Tempus della liturgia cattolica, segnato dai tratti più pregnanti della vita del Cristo, è attraversato da un’imprescindibile presenza di cui si fa puntuale memoria il sabato: è la figura di Maria, alla cui veste di madre e di donna prescelta è dedicato un vastissimo numero di composizioni del repertorio sacro europeo, indissolubilmente legate alle vicende di Cristo, alla devozione popolare, all’ispirazione dei compositori.

Tre profili musicali, nel tempo e nei luoghi, segnano il percorso attraverso questa traccia tematica. Il primo cadenza il passo, come già faceva coi fedeli pellegrini nel XIV secolo, introducendo ogni sezione: si tratta dei canti tardomedievali del Llivre Vermell, una raccolta di brani processionali che i fedeli intonavano, insieme a danze, nel cammino verso il Santuario di Montserrat, vicino Barcellona.

Il secondo profilo ripercorre un sintetico excursus storico e stilistico da Palestrina a Brahms e, attraverso tre su quattro delle antifone mariane maggiori, tocca quasi l’intero anno liturgico.

Il tono solenne gregoriano della Salve Regina offre a Palestrina (1525-1594) le melodie tematiche della sua splendida composizione: una cattedrale di suono che, se per alcuni aspetti tributa ai maestri franco-fiamminghi la ricchezza del contrappunto e differenti tratti linguistici per la maggiore espressività del testo, per altri porta ad assoluta compiutezza quel linguaggio, infonde una chiarezza estatica che nulla toglie alla ricchezza del suono e offre il più rivoluzionario contributo italiano allo sviluppo dell’arte polifonica vocale: l’intelligibilità e l’articolazione della parola.

La lezione italiana è subito appresa dal centro Europa, assimilata e rimessa in gioco in linguaggi personali e caratteristici: è il caso di Aichinger (1564-1628), che soggiornò a Roma per due anni per studiarla, ma anche di Brahms, che di Palestrina e Bach fece due dei suoi ‘maestri’ della polifonia antica. Il suo Regina coeli è strutturato in forma di duetto solistico sulle semifrasi Regina coeli laetare, Quia quem meruisti portare, ecc., con risposta corale negli Alleluia che terminano le frasi dell'antifona. Emerge il gusto ottocentesco per una certa pienezza e densità di suono, che pur non tralascia l’idea di un’armonia risultante dalla sovrapposizione contrappuntistica delle linee vocali. Lo Stabat Mater di Giuseppe Tartini (1692-1770) è testimone di un’estetica che dalla fine del ‘500 si è via via arricchita di drammaticità e pathos, espressi con svariati mezzi e artifici compositivi, tutti votati al coinvolgimento emotivo e alla rappresentazione degli ‘affetti’.

L’ampia varietà stilistica del Novecento europeo nella testualità sacra dedicata a Maria mater Dei offre i contenuti delle due sezioni successive. Dal centro del continente, dalla cattolica Germania meridionale, arriva l’Ave Maria di Biebl (1906-2001): è forse il suo pezzo più noto, dolce e intensa, ricca di sfumature che non rinunciano ai pieni di un coro a sette voci; è alternata all’Angelus in canto piano. All’altare palestriniano è contrapposta l’opera di un autore che è tra i pochi riconosciuti maestri di cappella del Novecento ad aver restituito in chiave moderna la lezione di Palestrina: Mons. Bartolucci (1917-2013) riprende sempre il tono solenne per questa Salve Regina, alternando il canto piano alla polifonia e lasciando armonie e movimenti soavi, suggestivi eppure strettamente legati alla melodicità gregoriana. Simile a una brezza , leggera e fresca, è l’Ave Maria di Pietro Allori (1925-1985), prolifico maestro di cappella della Cattedrale di Iglesias, pensata con evidenza per voci bianche, cristalline, penetranti e duttilissime.

Richiama la fluida chiarezza della polifonia italiana del Cinquecento anche l’Ave Maria di Holst (1865-1934), scritta nel 1900 in memoria della propria madre, che mancò quando Holst era un bambino. Il brano mostra tutta la capacità dell’autore di giocare, accoppiare, contrapporre le otto voci dei due cori in modo naturale e fluido: l’ascolto è trasportato dalle note basse del contralto alle più acute del soprano con soavità, morbidezza e luminosità, grazie anche a un ciclo melodico tra le voci sciolto e ininterrotto, senza soluzione di continuità.

Grazie a questa Salve Regina, un brano luminoso che mette in risalto la bellezza delle voci femminili, Javier Busto, basco del 1949, entra ufficialmente nella schiera dei compositori di musica colta per coro: il brano, richiamando ancora a tratti l’unisono del canto gregoriano, la sua fluidità melodica e la centralità della parola, segue e sottolinea con tratti differenti alcuni diversi momenti del testo (in hac lacrimarum valle; eja, ergo…; fructum ventris tui; o clemens…). Anche la giovane compositrice spagnola Eva Ugalde (1973) richiede esplicitamente in partitura uno “stile gregoriano” nel modo di cantare la melodia del suo Ave maris stella: con un interessante linguaggio e una notevole capacità melodica, questo brano risulta una serena e morbida elaborazione dell’inno mariano, trattato non in stanze separate – come spesso si sente –, ma senza soluzione di continuità. Il richiamo alla famosa e fertile scuola dell’Europa orientale è fatto attraverso il Salve Regina di Kocsàr, compositore ungherese del 1933: l’antifona più spesso richiamata nel programma ne è anche conclusione, ma questa volta ispirata alla versione monodica più popolare e nota. La musica è ancora all’insegna dell’etereo, dell’incorporeità celeste, e come nella figura di una donna si è sostanziata la salvezza cristiana, ancora in un tratto femminile, la voce acuta, votata alle altezze della scala dei suoni, si riscontra il mezzo umano più adeguato per esprimere la consapevolezza del Cielo.


Giuditta Comerci (giugno 2015)